Una Despedida

Jorge Luis Borges

Tarde que socavó nuestro adiós.

Tarde acerada y deleitosa y monstruosa como un ángel oscuro.
Tarde cuando vivieron nuestros labios en la desnuda intimidad de los besos.

El tiempo inevitable se desbordaba sobre el abrazo inútil.
Prodigábamos pasión juntamente, no para nosotros sino para la soledad ya inmediata.

Nos rechazó la luz; la noche había llegado con urgencia.
Fuimos hasta la verja en esa gravedad de la sombra que ya el lucero alivia.

Como quien vuelve de un perdido prado yo volví de tu abrazo.
Como quien vuelve de un país de espadas yo volví de tus lágrimas.

Tarde que dura vívida como un sueño
entre las otras tardes.

Después yo fui alcanzando y rebasando
noches y singladuras.

Luna de enfrente (1925)

Fragmento de “El Pasado”

“No hay otro tiempo que el ahora, este ápice
del ya será y del fue, de aquel instante
en que la gota cae en la clepsidra.
El ilusorio ayer es un recinto
de figuras inmóviles de cera
O de reminiscencias literarias
que el tiempo irá perdiendo en sus espejos.”
Jorge Luis Borges

Fragmentos de Piedra de Sol

“vestida del color de mis deseos
como mi pensamiento vas desnuda,
voy por tus ojos como por el agua,
los tigres beben sueño en esos ojos,
el colibrí se quema en esas llamas,
voy por tu frente como por la luna,
como la nube por tu pensamiento,
voy por tu vientre como por tus sueños,”
[…]
“rostro de llamas, rostro devorado,
adolescente rostro perseguido
años fantasmas, días circulares
que dan al mismo patio, al mismo muro,
arde el instante y son un solo rostro
los sucesivos rostros de la llama,
todos los nombres son un solo nombre,
todos los rostros son un solo rostro,
todos los siglos son un solo instante
y por todos los siglos de los siglos
cierra el paso al futuro un par de ojos,”

Il potere tra giovani e ottantenni

Bustina di Minerva
Umberto Eco
02 maggio 2013
Aldo Cazzullo, sul “Corriere” del 25 aprile, ha salutato Enrico Letta (quarantasei anni) come ragazzo degli anni Ottanta, e cioè cresciuto in un decennio in cui si viveva nella febbre del sabato sera, senza grande interesse per la politica.

Cazzullo però ricorda che gli anni Ottanta godono di una fama controversa e, se sono stati per alcuni solo anni di yuppismo trionfante, di Milano da bere, di crollo delle ideologie, per altri sono stati anni decisivi – e io, proprio in una Bustina del 1997, sostenevo che erano stati grandiosi perché ci avevano dato la fine della guerra fredda, il crollo dell’impero sovietico, la nascita di nuove aggregazioni come l’ecologia e il volontarismo, l’inizio traumatico ma epocale della grande migrazione del Terzo mondo verso l’Europa e, cosa che allora non è stata avvertita come il vero inizio del terzo millennio, la rivoluzione del personal computer. Era stato davvero un decennio privo di fermenti? Bene, vedremo in futuro che tipo di generazione ha prodotto, naturalmente Letta è una rondine che non fa ancora primavera e Renzi, nato 11 anni dopo, è diventato adulto solo negli anni Novanta.

Ma il problema mi pare un altro. La crisi recente ci ha mostrato che la generazione dei giovanissimi, nati negli anni Novanta, ha prodotto “movimento” ma non ancora grandi leaders, mentre tutte le discussioni delle settimane scorse si sono svolte solo intorno al carisma di persone che girano intorno o oltre gli ottant’anni, come Napolitano, Berlusconi, Rodotà, Marini, e i più giovinetti erano Amato, settantacinque, Prodi, settantaquattro e Zagrebelsky, settanta. Perché questo vuoto di leadership tra i nati negli anni Ottanta e i grandi vegliardi carismatici? C’è stata un’assenza della generazione nata intorno agli anni Cinquanta, tanto per intenderci, quella che nel 1968 aveva dai diciotto ai vent’anni.

Ogni regola ha le sue eccezioni, e potremmo citare Bersani (1951), D’Alema (1949), Giuliano Ferrara (1952) e persino Grillo (1948), ma i primi tre hanno attraversato il ’68 dall’interno del Pci (e così è accaduto al più giovane Vendola, 1958), e il quarto in quegli anni faceva ancora l’attore. Coloro che sono assenti dall’agone politico e in ogni caso non sono stati in grado di fare crescere un leader di statura internazionale sono gli ex-sessantottini.

Alcuni sono finiti nel terrorismo o in lotte extraparlamentari, altri hanno scelto di rivestire funzioni politiche abbastanza defilate (come Capanna), altri ancora (dimostrando che il loro empito rivoluzionario era solo di facciata o di convenienza) sono diventati funzionari berlusconiani, qualcuno scrive libri o fa l’opinionista, qualcuno si è ritirato in una dolente e sdegnosa torre d’avorio, infine personaggi come Strada si sono dati al volontarismo ma, insomma, nel momento della crisi nessuno in quell’area di età è emerso come salvatore della patria.

È che quei giovani del ‘68, impersonando le tensioni e gli ideali di un movimento che veramente ha sconvolto il mondo intero, ha cambiato parte dei costumi e dei rapporti sociali, ma alla fin fine non ha toccato i veri rapporti economici e politici, erano diventati – giovanissimi – capi carismatici, adorati dai seguaci di ambo i sessi, che potevano trattare faccia a faccia (e magari a pesci in faccia) coi Grandi Vecchi dell’epoca. Presi da delirio di onnipotenza (vorrei vedere voi a finire in prima pagina a diciott’anni) si erano dimenticati o non avevano fatto in tempo a imparare che per diventare generale bisogna iniziare da caporale, poi fare il sergente, poi il tenente e così andando avanti passo per passo. Chi comincia subito come generale (e poteva accadere solo ai tempi di Napoleone o nell’esercito di Pancho Villa, ma si è visto come poi finiva) alla fine torna in fureria senza aver appreso il mestiere (durissimo) del comando.

Come sapevano i giovani cattolici e i giovani comunisti, bisogna fare una lunga gavetta.

E coloro invece hanno bruciato i tempi, e coi tempi hanno bruciato (politicamente) la loro generazione.

Bustina 26/3/14

Il diritto alla felicità
“La Dichiarazione d’indipendenza americana lo riconosce a tutti gli uomini. Ma c’è un equivoco. Dovremmo abituarci a pensare una vita piena in termini collettivi e non come soddisfazione solo individuale”

Il diritto alla felicità
Stati Uniti, una parata per il 4 luglio
Talora mi viene il sospetto che molti dei problemi che ci affliggono – dico la crisi dei valori, la resa alle seduzioni pubblicitarie, il bisogno di farsi vedere in tv, la perdita della memoria storica e individuale, insomma tutte le cose di cui sovente ci si lamenta in rubriche come questa – siano dovuti alla infelice formulazione della Dichiarazione d’indipendenza americana del 4 luglio1776, in cui, con massonica fiducia nelle magnifiche sorti e progressive, i costituenti avevano stabilito che «a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità».

Sovente si è detto che si trattava della prima affermazione, nella storia delle leggi fondatrici di uno Stato, del diritto alla felicità invece che del dovere dell’obbedienza o altre severe imposizioni del genere, e a prima vista si trattava effettivamente di una dichiarazione rivoluzionaria. Ma ha prodotto degli equivoci per ragioni, oserei dire, semiotiche.

La letteratura sulla felicità è immensa, a iniziare da Epicuro e forse prima, ma a lume di buon senso mi pare che nessuno di noi sappia dire che cos’è la felicità. Se si intende uno stato permanente, l’idea di una persona che è felice tutta la vita, senza dubbi, dolori, crisi, questa vita sembra corrispondere a quella di un idiota – o al massimo a quella di un personaggio che viva isolato dal mondo senza aspirazioni che vadano al di là di una esistenza senza scosse, e vengono in mente Filemone e Bauci. Ma anche loro, poesia a parte, qualche momento di turbamento dovrebbero averlo avuto, se non altro un’influenza o un mal di denti.

La questione è che la felicità, come pienezza assoluta, vorrei dire ebbrezza, il toccare il cielo con un dito, è situazione molto transitoria, episodica e di breve durata: è la gioia per la nascita di un figlio, per l’amato o l’amata che ci rivela di corrispondere al nostro sentimento, magari l’esaltazione per una vincita al lotto, il raggiungimento di un traguardo (l’Oscar, la coppa, il campionato), persino un momento nel corso di una gita in campagna, ma sono tutti istanti appunto transitori, dopo i quali sopravvengono i momenti di timore e tremore, dolore, angoscia o almeno preoccupazione.

Inoltre l’idea di felicità ci fa pensare sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano, e anzi siamo indotti sovente a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra. Persino la felicità amorosa spesso coincide con l’infelicità di un altro respinto, di cui ci preoccupiamo pochissimo, appagandoci della nostra conquista.

Questa idea di felicità pervade il mondo della pubblicità e dei consumi, dove ogni proposta appare come un appello a una vita felice, la crema per rassodare il viso, il detersivo che finalmente toglie tutte le macchie, il divano a metà prezzo, l’amaro da bere dopo la tempesta, la carne in scatola intorno a cui si riunisce la famigliola felice, l’auto bella ed economica e un assorbente che vi permetterà di entrare in ascensore senza preoccuparvi del naso degli altri.

Raramente pensiamo alla felicità quando votiamo o mandiamo un figlio a scuola, ma solo quando comperiamo cose inutili, e pensiamo in tal modo di aver soddisfatto il nostro diritto al perseguimento della felicità.

Quando è al contrario che, siccome non siamo delle bestie senza cuore, ci preoccupiamo della felicità degli altri? Quando i mezzi di massa ci presentano l’infelicità altrui, negretti che muoiono di fame divorati dalle mosche, ammalati di mali incurabili, popolazioni distrutte dagli tsunami. Allora siamo persino disposti a versare un obolo e, nei casi migliori, a impegnare il cinque per mille.

È che la dichiarazione d’indipendenza avrebbe dovuto dire che a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto-dovere di ridurre la quota d’infelicità nel mondo, compresa naturalmente la nostra, e così tanti americani avrebbero capito che non devono opporsi alle cure mediche gratuite – e invece vi si oppongono perché questa idea bizzarra pare ledere il loro personale diritto alla loro personale felicità fiscale.

Umberto Eco

http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2014/03/19/news/il-diritto-alla-felicita-1.157770

Montaigne

Montaigne avait sa propre collection de citations qu’il fit graver sur les poutres et les solives du plafond de sa bibliothèque (voir plus bas). Pourquoi certaines ont-elles été superposées (s) ? Affectionnait-il davantage de citations qu’il ne disposait d’espace pour les graver ou est-ce parce que certaines ont pris, tardivement, plus d’importance à ses yeux ? Quoi qu’il en soit, celles qui ont été recouvertes sous la deuxième série sont données en texte pâle.

De ses 59 citations favorites, Montaigne cite 21 fois la Bible dont 13 fois l’Ecclésiaste et 5 fois Paul de Tarse. Ensuite, par fréquence décroissante, il cite 5 fois Sextus Empiricus, 4 fois Lucrèce, 4 fois Euripide, 3 fois Horace, 3 fois Sophocle, 2 fois Théogonis, 2 fois Socrate, 2 fois Ménandre etc. ]

Fréq. Auteur
Citation (Numéro de poutre)

21
Bible

13 x Ecclésiaste
– Le sommet de la science humaine, c’est prendre les choses comme elles sont. Laisser le reste. (1s)

– Soif de savoir : donnée par Dieu à l’homme pour le mettre sur le gril. (2s)

– Tout sous le soleil a même lot, même loi. (4s)

– D’aucune, grande ou petite, des innombrables créatures de Dieu, la notion n’est en nous. (6s)

– Toi qui ignores comment l’âme épouse le corps, tu ne sais rien des ouvrages de Dieu. (12s)

– Tu ignores, homme, si ton intérêt est plus ici que là ou si les deux partis se valent. (18s)

– Ne sois pas trop sage, tu deviendrais stupide. (20)

– Toujours le réel par sa complexité dépasse les mots de l’homme. (26s)

– Partout vanité. (30)

– De quoi es-tu fière, terre et cendre ? (32)

– Jouis du présent, le reste est hors de toi. (34s)

– Dieu a fait l’homme comme l’ombre : soleil couché, qui en jugera ? (37s)

– De tant d’ouvrages créés par Dieu, l’homme ne sait rien de plus que de l’empreinte du vent. (39s)

5 x Paul de Tarse
– Homme est argile. (15)

– Ne vous prenez pas vous-mêmes pour des sages ! (16s)

– Si quelqu’un estime savoir quelque chose, il ne sait pas encore ce que savoir veut dire. (21)

– Si quelqu’un pense être quelque chose alors qu’il n’est rien, il se dévoie lui-même. (22)

– Ne soyez pas plus sages qu’il ne faut, ne vous enivrez pas de sagesse ! (23s)

1 x Isaïe
– Malheur à vous qui êtes sages à vos yeux ! (33)

1 x Proverbes
– As-tu vu un homme qui se prend pour un sage ? Il y aura plus à attendre d’un fou. (11)

1 x Psaumes
– Jugements du Seigneur ? Profond abîme ! (45s)

5 Sextus Empiricus
– Le jugement allant et venant, je ne saisis pas à égalité sans pencher. (A)

– Je ne conçois pas, j’attends, j’examine suivant usage et instinct. (B)

– C’est possible et ce n’est pas possible. (13)

– Contre chaque argument un argument égal. (35)

– Je n’arrête rien. (46)

4 Euripide
– Jamais je ne dirai que le mariage apporte plus de joies que de larmes. (4)

– Peut-on se prendre pour un homme supérieur, quand le premier accident venu vous efface tout entier ? (9s)

– Qui sait si ce qu’on appelle mort n’est pas vie, si vivre n’est pas mourir ? (25)

– Parmi les dieux comme parmi les hommes, diversité des goûts. (40)

4 Lucrèce
– Pauvres esprits humains, coeurs aveugles, quelles ténèbres, que de dangers en cette vie, quelle qu’en soit la durée ! (8)

– Ciel, terre, mer et toutes choses : un néant face au tout du tout de l’univers. (10)

– On a beau vivre, aucun plaisir ne naît qu’on ne connaisse déjà. (12)

– Le genre humain a les oreilles qui lui démangent. (28)

3 Horace
– Rude, le fardeau imposé par la divinité, mais plus léger pour qui l’accepte. (6)

– Partout où m’emporte le vent, je me pose un moment. (18)

– Quelle fatigue pour ton esprit à toujours penser au-dessus de soi ! (44s)

3 Sophocle
– Nous tous, les vivants : rien que fantômes, ombres sans poids. (7)

– Ne penser à rien: là est la vie la plus douce, car ne pas penser est un mal vraiment indolore. (9)

– Il est beau pour le mortel de penser à hauteur d’homme. (43s)

2 Ménandre
– Heureux qui gère son bien avec intelligence. (3)

– Ce dont tu es le plus fier, la belle image que tu as de toi, voilà ce qui te perdra. (41s)

2 Socrate
– Les outres vides s’enflent de vent, les hommes de prétention. (3s)

– La mauvaise piété suit le fumant orgueil comme son père. (16)

2 Théogonis
– Vivre de peu, mais à l’abri du mal ! (1)

– Rien de plus beau que la droiture, mais rien de plus agréable que la santé. (26)

1 Aulu-Gelle
– Pas plus d’une façon que de l’autre ou sans l’une et l’autre. (5)

1 Cornelius Nepos
– À chacun la destinée que son caractère lui façonne. (34)

1 Épictète
– Causes du tourment humain : non les choses, mais les idées sur les choses. (42)

1 Hérodote
– La haute estime de soi, Dieu se la réserve jalousement. (17s)

1 Homère
– De part et d’autre, vaste champ de paroles. (27)

1 Martial (adapté de)
– Ni craindre ni souhaiter mon dernier jour. (17)

1 Michel de l’Hospital
– Notre esprit erre dans les ténèbres, aveugle il ne peut voir le vrai. (36)

1 Perse
– Que de vide dans le monde ! (29)

1 Platon
– Bel est bon. (14)

1 Pline
– Seule certitude : rien n’est certain, et rien n’est plus pitoyable ou prétentieux que l’homme. (38)

1 Sotadès
– Parfaite autonomie : le plaisir véritable. (2)

1 Térence
– Homme je suis : rien d’humain ne m’est étranger. (19)

1 Xénophane
– Non, la claire vérité, aucun homme ne l’a sue, et jamais homme ne la saura. (24)

(null)

http://www.philo5.com/Textes-references/Montaigne_SentencesLibrairie.htm

[1] Extrait du Catalogue des sentences de la “Librairie” du site Société internationale des Amis de Montaigne (page consultée le 21 janvier 2010).

Llama Doble

Fragmento del ensayo “La Llama Doble” de Octavio Paz.
“El amor también es una respuesta: por ser tiempo y estar hecho de tiempo, el amor es, simultáneamente, conciencia de la muerte y tentativa por hacer del instante una eternidad. Todos los amores son desdichados porque todos están hechos de tiempo, todos son el nudo frágil de dos criaturas temporales y que saben que van a morir; en todos los amores, aun en los más trágicos, hay un instante de dicha que no es exagerado llamar sobrehumana: es una victoria contra el tiempo, un vislumbrar el otro lado, ese allá que es un aquí, en donde nada cambia y todo lo que es realmente es.”

Ulrica

“Para un hombre célibe entrado en años, el ofrecido amor es un don que ya no se espera. El milagro tiene derecho a imponer condiciones.”

Estela Canto III

Indigno de las tardes y las mañanas, hateful to myself, indigno de los días incomparables que he pasado contigo, indigno de los lindísimos lugares que veo (el Hervidero, el Uruguay, las cuchillas con algún jinete, las quintas), paso días de pena, de incertidumbre. No he recibido una línea tuya. Pienso en algún inverosímil contratiempo postal; no sé con qué inflexión escribirte, no sé quién soy ahora para ti. Vanamente procuro conciliar tu cariño y tu cortesía de ayer con tu silencio de hoy. No te pido explicaciones, te pido un signo de que aún existo para ti, de algún modo. El viernes estaré en Buenos Aires. ¿Habré de repetirte que te quiero y que podemos ser muy felices? Estela, no me dejes así.
Tuyo, muy solo,
He concluido, bien o mal, tu cuento.
Georgie.
El tono de esta carta, escrito desde Las Nubes, la propiedad de Enrique Amorim sobre el río Uruguay, empieza a anunciar lo que iba a ser una constante: la idea de que yo lo dejaba. Yo no lo amaba, que es distinto, pero en ningún momento pensé en «dejar» a mi querido amigo Borges. Georgie estaba de vacaciones con su madre en casa de Amorim, cuya esposa, Ester Haedo, tenía un
lejano parentesco con doña Leonor.

Querida Estela:
No hay ninguna razón para que dejemos de ser amigos. Te debo las mejores y quizá las peores horas de mi vida y eso es un vínculo que no puede romperse. Además, te quiero mucho. En cuanto a lo demás…, me repites que puedo contar contigo. Si ello fuera obra de tu amor, sería mucho; si es un efecto de tu cortesía o de tu piedad, I can’t decently accept it.
Loving or even saving a human being is a full time job and it can hardly, I think, be successfully undertaken at odd moments. Pero… ¿a qué traficar en reproches, que son mercancía del Infierno? Estela, Estela, quiero estar contigo, quiero estar silenciosamente contigo. Ojalá no faltes hoy a Constitución.
Georgie.
(Si es un efecto de tu cortesía o de tu piedad…, no puedo decentemente aceptarlo. Amar o incluso salvar a un ser humano es un trabajo de todo el tiempo, y creo que no puede ser exitoso si se realiza en momentos perdidos.)
Es la última carta de Georgie. El destino nos separó, las circunstancias, las gentes, las cosas. Pero, de una u otra manera, fuimos amigos hasta el fin.

Estela Canto II

Thursday, about five.
I am in Buenos Aires, I shall see you tonight, I shall see you tomorrow, I know we shall be happy together (happy and drifting an sometimes speechless and most gloriously silly), and already I feel the bodily pang of being separated from you, turn asunder from you, by rivers, by cities, by tufts of grass, by circumstances, by days and nights.
These are, I promise, the last lines I shall allow myself in this strain; I shall abound no longer in self—pity. Dear love, I love you; I wish you all happiness; a vast and complex and closewoven future of happiness lies ahead of us. I am writing like some horrible prose poet; I dont dare to reread this regrettable postcard. Estela, Estela Canto, when you read this I shall be finishing the story I promised you, the first of a long series. Yours,
Georgie.